Oggi, su il manifesto, si può leggere un’intervista a Rosi Braidotti. Postumano, cartografie e genealogie critiche, femminismo, filosofia, anni ’70, tecnologia e tanto altro ancora. Una intensa e imperdibile lettura del presente che ci interroga profondamente.
La ringrazio per il tempo che mi ha saputo dedicare e di seguito pubblico il testo, disponibile on line qui.
Oltre la gabbia del soggetto. Intervista a Rosi Braidotti
(di alessandra pigliaru)
Negli scorsi giorni la filosofa Rosi Braidotti, che ad Utrecht dirige il Centre for the Humanities, è stata in Italia (Bologna, Napoli e Roma) per la presentazione del suo ultimo volume, Il Postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte (recensito qui e qui il 18 febbraio 2014). Il postumano è un tema con cui Braidotti si misura fin dai tempi di Soggetti nomadi (1994) dove viene nominato come progetto utopico e politico con cui fare i conti. In questi anni, all’interno di un dibattito internazionale vivacissimo che l’ha vista al centro di numerosi confronti, ha proseguito la sua riflessione sulla soggettività chiarendo ora come il posizionamento postumano, bussola e strumento genealogico, preveda anzitutto un nomadismo acquisito sia sotto il profilo della teoria materialista del divenire che sotto il profilo etico-politico. Su questo punto, le categorie che intervengono sono in effetti quelle che negli anni le hanno consentito di tracciare una mappatura all’altezza dei tempi presenti. Sono, questi ultimi, anche tempi pensanti e di particolare potenza, in cui le pratiche politiche e di resistenza giocano il proprio corpo a corpo con una molteplicità di risorse e conflitti. Anche qui la partita giocata da Braidotti muove da una collocazione esatta: femminista, postcoloniale e radicalmente responsabile. Attraverso la lezione di Foucault, Irigaray, Deleuze e Guattari dirimente è la forza propulsiva del monismo spinoziano e l’apertura alla critica femminista contemporanea. In questo crocicchio, le tessere del presente si spostano e si intersecano verso la ridefinizione di umano e disumano. Fino al salto definitivo. Alcuni temi ritornano in maniera decisiva facendo della architettura filosofica in divenire di Braidotti una cartografia trasformativa delle idee. Tale trasformazione, che avviene conseguentemente alla crisi dell’umano, mostra le trappole ma pure le risorse di una contemporaneità tutta ancora da agire.
Uno dei paradossi più evidenti della nostra era è, secondo te, lo scontro tra la necessità stringente di affidarsi a nuove azioni etico-politiche e l’inerzia di chi vorrebbe curare esclusivamente i propri interessi e profitti. A cagione di questa ultima posizione si propone infatti un generico appello al nuovo che risuona come puro esercizio retorico in relazione alle logiche di mantenimento del potere e individualismo neoliberale. In questo senso intercetti quella che chiami forza tecnologica liberatrice e trasgressiva, prestando attenzione all’appropriazione da parte di chi vorrebbe inserirle in un discorso tradizionale e conservatore del soggetto (perlopiù autocentrato, bianco, maschio, eterosessuale e benestante). Mi dici qualcosa a riguardo?
La retorica del nuovo fa parte del programma di consumismo sfrenato e maniacale del capitalismo avanzato. C’è una tensione tra il potenziale gigantesco delle nuove tecnologie che hanno come meta il controllo del vivente e di tutte le sue forme, e l’uso monodirezionale che ne viene fatto dal capitalismo – per cui il capitale è la vita stessa. E soprattutto il fatto che hanno riallacciato questa molteplicità complessa alla nozione più restrittiva possibile di individualismo, associandoci una morale molto stanca, la classica morale neokantiana umanistica, che sta andando alla grande. Viviamo in un’epoca moralizzatrice, cruenta e contraddittoria. Quindi io non voglio cadere nel discorso antiquato della tecnofobia che prevede la tecnologia come strumento di dominio perché non ci credo; sono stata allieva di Foucault e il potere non è mai a senso unico. Queste tecnologie sono al tempo stesso liberatorie e strumenti di morte e di distruzione. Abbiamo droni, telefonini, fecondazione assistita e poi i morti al largo di Lampedusa; sono versanti della stessa medaglia e noi dobbiamo pensare alla contemporaneità e agli effetti del potere, molteplici e contraddittori. La forza liberatrice della tecnologia è, e dev’essere, fonte di esperimenti. Continua a leggere →