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Gli occhi di Blimunda

~ visioni critiche in frammenti

Gli occhi di Blimunda

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senza titolo #16

16 giovedì Feb 2017

Posted by gliocchidiblimunda in interstizi, senza titolo, Topologie, Visioni

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Vivian Maier

I figli, dice. Chi non  li ha avuti non può capire lo sgomento di una madre o un padre davanti al baratro e alla meraviglia della crescita di un piccolo essere umano che dipende da te. La responsabilità, e tante altre cose. Quella fragilità insomma, tutta rappresa, che si stende davanti al cumulo di chi eravamo prima di aver avuto qualcuno a cui dover dare tutto il nostro accudimento. E che è lì, ogni giorno, a ricordarcelo. Ma “noi” chi? “Noi” è forse solo chi è arrivato al mondo senza averlo chiesto, questo è comune, cioè lo è per tutte e tutti. “Noi” è chi, anche avendo avuto il privilegio di essere madre o padre, non dovrebbe parlare anche a nome di altri che hanno fatto la stessa scelta.

Ora capita che su questa vicenda di Lavagna, cioè di questo ragazzino di 16 anni che si è gettato dal balcone in preda allo spavento per la perquisizione della guardia di finanza nella sua camera per qualche grammo di hashish, si accusi la madre come fosse quasi l’emissaria dello stesso gesto visto che è stata proprio lei a chiamare le forze dell’ordine. Continua a leggere →

Clara, Mirina e altre storie

22 domenica Gen 2017

Posted by gliocchidiblimunda in Ospiti, società, sogni&sintomi, Topologie, Uncategorized, Visioni critiche

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Clara Gallini

galllini2-300x225Luminosa audace e ardente, così Christa Wolf descrive l’amazzone Mirina, una delle protagoniste del suo romanzo Cassandra. Aveva però negli occhi anche una certa nostalgia. Di quelle acute, osserva Wolf. Così la strana creatura dalla fisionomia chiaroscurale che non credeva nelle predizioni, fedele compagna di Pentesilea, metteva a repentaglio il proprio corpo tutto nella lotta per la verità. Clara Gallini, scomparsa ieri all’età di 85 anni, aveva scelto proprio il nome Mirina per la gatta che da anni le faceva compagnia nella casa romana in via Sant’Antonio all’Esquilino. Una piccola viuzza, riparata dal frastuono del quartiere e tuttavia popolata da una moltitudine di storie. «Il romanzo di Christa Wolf mi era talmente piaciuto, il nome Mirina però l’ho scelto non per ricordarmi del suo carattere indomito ma per la dolcezza del suono». Schiva e pur sempre diretta, Clara Gallini non amava i convenevoli né le noiose formalità, sia dell’ambiente accademico che mondano. E in quel pomeriggio tiepido, si distingueva bene che di Mirina anche lei possedeva qualcosa di profondo. Nella sinuosità della figura, infine nel coraggio irriverente della sopravvivenza a una malattia che l’aveva ultimamente provata nel corpo, lasciandole tuttavia la cosa più importante, una mente dotata di un acume eccezionale. Ne dà prova nel suo ultimo libro, Incidenti di percorso, pubblicato con lungimiranza da Nottetempo quando, nell’incontro con l’allora direttrice Ginevra Bompiani, pensò di scrivere cosa le era accaduto. Ne viene fuori un resoconto che è diario di intensa auscultazione interna e osservazione partecipata di cui però, a differenza degli ambiti di cui si era fin lì occupata, il soggetto era lei stessa. Si era fatta campo di indagine e maestra di invenzione, ancora una volta. Era riuscita a intravvedere nella malattia e nella cura esperienze ineludibili, nel doppio passo della fragilità e della gaurigione.

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ricordando Tomasino Pinna

28 martedì Giu 2016

Posted by gliocchidiblimunda in Ospiti, Pensiero, società, Topologie, Visioni critiche

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Il Manifesto, Julia Carta, Tomasino Pinna

Cattura

il manifesto, 28 giugno 2016

Ho un ricordo personale di Tomasino Pinna perché è con lui che ho sostenuto l’ultimo esame prima di laurearmi. E quando mi ha chiesto con chi avessi intenzione di preparare la tesi mi rammaricai di non averlo incontrato prima. Ricordo bene il suo corso di Storia delle religioni, le sue dispense su Bourdieu, fino al suo appassionato spiegare la disposizione delle caste e infine il suo libro imperdibile in cui ha ricostruito la storia di Julia Carta, una donna che nel 1596 è stata accusata di stregoneria dall’inquisizione. Quel volume ha contribuito alla storia delle tradizioni popolari in Sardegna e non solo. Oltre alla storia della stregoneria, tutta.

Tomasino Pinna se ne è andato in silenzio, come in silenzio e con un sorriso gentile e garbato ha vissuto la sua esistenza. Con una grande finezza di pensiero che spesso, anche se non necessariamente, viene a incontrarsi con una certa dose di umiltà. Non ha strepitato o sbraitato neppure quando, non più tardi del 2012, la prefettura di Sassari negò al comune di Siligo, in cui era vissuta Julia Carta, la dedica di una via. In fondo cosa c’era da intitolarle, così disse la prefettura, era pur sempre una strega, un pessimo esempio e non certo una martire, piuttosto una appartenente a un “giro oscuro”.

Consultato in quel frangente, quando lessi le sue prime dichiarazioni, lo immaginai imbarazzato dinanzi a tanta cialtroneria. Si limitò a ribadire cosa aveva fatto sotto il profilo della ricostruzione storico-scientifica, un lavoro di anni basato su documenti raccolti a Madrid. Insomma, la via poteva esserle intitolata di certo, ma non era questo il punto della vicenda. Era invece, come è anche adesso, raccontare la storia di chi non ha avuto voce per poi constatare amaramente che, una volta compiuta l’impresa, c’è sempre qualche cortocircuito che riporta al punto di partenza.

Di seguito riporto un articolo pubblicato proprio da Pinna sul quotidiano La Nuova Sardegna in merito alla vicenda. Ciao Tomasino, che la terra ti sia lieve.

[a.p.]

*

Povera Julia, dopo 400 anni ancora vittima

La “strega” di Siligo testimone di un forte senso comunitario che ispira ancora molte paure e diffidenze

di Tomasino Pinna

Quale autore del libro Storia di una strega (Edes Edizioni, 480 pagine, 20 euro) sul processo celebrato dall’Inquisizione spagnola contro Julia Carta nel 1596-97, non posso – visto il rilievo sugli organi di stampa che ha assunto la questione relativa al diniego opposto dalla Prefettura di Sassari all’intitolazione di una via di Siligo a Julia Carta – sottrarmi all’obbligo di esprimere il mio punto di vista. Non intendevo farlo per più di una ragione, e quella ascrivibile a un certo disinteresse caratteriale alla visibilità pubblica non è la principale.

Premesso che non conosco le motivazioni in base alle quali è stata avanzata la richiesta di intitolazione della via (che però presumo non molto argomentate né particolarmente convincenti, dati la perentorietà e il tenore del giudizio negativo espresso dalla Deputazione di Storia Patria, che una qualche ragione deve pure averla), e non mi sento dunque difensore d’ufficio né paladino d’alcunché, devo tuttavia avanzare delle riserve sui giudizi che sembrerebbe (in base a quanto scritto nell’articolo pubblicato sulla Nuova del 16 maggio) abbia espresso la Deputazione determinando, quale organo competente, la decisione della Prefettura (sulla cui correttezza istituzionale non ho nulla da dire). Per la Deputazione, Julia Carta non meriterebbe l’intitolazione della via perché sarebbe una «truffatrice» che «ancora oggi potrebbe rappresentare un cattivo esempio», «rappresenta un giro oscuro» e «non è sembrato un personaggio che avesse un valore morale».

Se queste sono davvero le motivazioni addotte, ritengo necessarie alcune osservazioni.

Julia Carta non era una truffatrice, ma depositaria di un sistema di saperi tradizionali nel campo delle terapie e della protezione magica da avversità di varia natura. Saperi che, tramandati nel corso delle generazioni, le erano stati trasmessi dalla nonna materna e da un’altra vecchia. Si trattava di sistemi di tutela delle comunità nei momenti critici (sull’argomento in generale ha scritto opere fondamentali Ernesto de Martino, al quale rinvio). Julia era dunque anello di una lunga catena di trasmissione culturale, e le sue competenze erano funzionali ai bisogni del contesto sociale. Serviva, non truffava la sua comunità: «Si tú no llamas a Julia Carta nunca sarás sano», dicevano a un ammalato di Siligo, evidenziando il ruolo di Julia come punto di riferimento nei momenti di difficoltà. Qui sta il suo «valore morale», la sua valenza positiva. E se proprio si volesse fare della sua vicenda, con enfasi gnomica che poco mi attrae, un modello per l’oggi, non sarebbe certo quello legato al «cattivo esempio», ma piuttosto quello che richiama la solidarietà comunitaria.

Nella magia, poi, e anche in quella di Julia, non c’è nessun «giro oscuro» né tenebroso mistero, per chi ne sappia leggere i codici mitico-rituali (ancora de Martino docet).

A coronamento, si aggiunge anche, fra le ragioni dell’indegnità, il fatto che Julia Carta «non è una martire». Giustificazione curiosa, che meriterebbe un’ampia parentesi. Mi limito a dire soltanto che, al contrario, Julia è proprio martire, e lo è nel senso etimologico del termine: «testimone». Testimone di aspetti importanti della cultura popolare sarda (l’orizzonte mitico-rituale che funge da dispositivo solutorio di emergenze critiche e il ruolo di protezione che la donna vi ha esercitato), e non solo del XVI secolo; testimone del tributo di sofferenza che la diversità del mondo magico popolare (Julia rappresenta centinaia di donne come lei condannate per le stesse ragioni) ha pagato all’intolleranza ideologico-religiosa espressa dalla Controriforma nel suo braccio repressivo dell’Inquisizione; testimonianza isolana di quel drammatico fenomeno che ha colpito l’Europa moderna e noto come «caccia alle streghe»; testimonianza emblematica ed esempio locale della violenza del potere su chi potere non ha: classi subalterne, donne ridotte al rango di streghe alleate del demonio (quando si dice «demonizzazione»! qui, della donna e della cultura popolare).

Giudicare Julia con i criteri usati dalla Deputazione significa restare oggi subalterni alle categorie – come se il tempo non fosse trascorso e «magicamente» si fosse fermato al 1597 – dell’Inquisizione che l’ha condannata.

Tuttavia, non drammatizziamo né demonizziamo: tra una richiesta forse mal fatta e una negazione certamente affrettata, mi pare di poter concludere che si è di fronte alla classica tempesta nel bicchier d’acqua.

La voracità del voto

25 sabato Giu 2016

Posted by gliocchidiblimunda in Pensiero, società, sogni&sintomi, Topologie, Visioni critiche

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BluJesi_01

Blu (Jesi)

Fedele all’ingordigia, al cattivo gusto e alla mancanza di misura. Fedele alla tracotanza, alla superbia telepolitica e alla supponenza. Se c’è una cosa che l’ordine dei francescani dovrebbe avere interiorizzato è proprio l’osservanza dell’opposto di tutto ciò. Chi ne fa parte, di quell’ordine, e che giurava fino a poco tempo fa di voler fare solo ritorno alle mansioni che esso prevede, non può certo perseguire la scelta di accettare un posto da assessore. Soprattutto se viene proposto nella città dove si è stati appena prosciolti dall’accusa di violenza sessuale e privata – con una sentenza resa nota di recente – ai danni di una donna, una suora. Tania. Fino a pochi mesi fa Fedele Bisceglia, francescano al centro di queste accuse pesantissime, aveva una condanna a 9 anni e rotti. Lo scandalo di violenza sessuale che lo aveva travolto, soprattutto perché dettagliato da intercettazioni che dipingevano una condotta piuttosto discussa, oltre ad aver scatenato le ire di quante si erano da subito e giustamente affiancate in solidarietà a suor Tania, avevano restituito l’immagine di un uomo piuttosto imbarazzante. Continua a leggere →

senza titolo #14

11 domenica Gen 2015

Posted by gliocchidiblimunda in società, sogni&sintomi, Topologie, Visioni, Visioni critiche

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NIGERIA NEL SANGUE VERSO IL VOTO, SFOLLATI MUOIONO DI FAME

“kamikaze forse a sua insaputa o non volontaria”

tradotto significa che per qualche giornale italiano sembra legittimo il sospetto su una bambina di dieci anni che fa la kamikaze “volontariamente” e “consapevolmente”?

Aggiungo una bambina senza nome, che non ha incarnato nessun grande valore europeo e che per questo non è nessuno di “noi”. Né di “loro”. Non c’è immedesimazione possibile. Cadrà molto banalmente nel dimenticatoio dei tanti «indegni di lutto» che non arrivano alla semplice presenza terrestre, nonostante siano esistiti anche loro. Di questa bambina non ci sono foto, non ci sono fiori, è stata buttata lì dove è nata e poi – riempita di esplosivo – lasciata entrare in un mercato nigeriano. Così. Della sua vita, di quella vulnerabilità inservibile che non interessa a nessuno e che manda in corto-circuito qualunque analisi geo-politica, è stato fatto scempio, insieme alla vita di altre diciannove persone che erano presenti in quel mercato. In una rapina costante e indigeribile della vulnerabilità, in un mondo che sembra una caricatura grottesca di qualche episodio di Black Mirror, paradossalmente si implode in una disumanità senza limiti. Così come senza limiti è l’empatia guadagnata nel carezzare la “nostra”, molto italiana ed europea, idea di identità. Bisogna difenderla come il bene più bello – ha detto recentemente qualcuno commentando i fatti di Parigi. Continua a leggere →

senza titolo #13

16 martedì Dic 2014

Posted by gliocchidiblimunda in società, sogni&sintomi, Topologie, Visioni critiche

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Veronica Panarello

imagesHa preso avvio lo sport preferito di un sacco di gente, quella roba vomitevole di investigare l’infelicità e lo sprofondo altrui e di metterci bocca. Sempre e comunque. Anche perché sulla propria di infelicità, sull’orlo che spinge quasi nel precipizio e dal quale ci si salva spesso un po’ per caso meglio sorvolare. Spesso non ci sono parole adeguate neppure immedesimandosi autenticamente, figuriamoci poi fingendo di poterlo fare. Ma chissenefrega, lo si fa uguale. Si sezionerà ogni cosa anche questa volta, e lo si sta già facendo. Con spocchia perbenista, con morbosità mortuaria e con altrettanta sicumera psichiatrica su chi ha fatto cosa quando come e da quanto lo meditava. Quell’infelicità la si analizzerà inutilmente immaginando di saper vedere negli abissi altrui attraverso l’incompetenza di esperti che andranno a ingrassare le fila di molti talk-show, testate apposite cartacee e on-line. Ne sentiremo parlare per mesi e forse per anni del passato ingombrante di una venticinquenne, delle sue dubbie relazioni, di lei madre da ragazzina, dei due tentativi di suicidio en passant, ancora di quando si è spostata in lungo e in largo per lavoro o per chissà che cosa, si darà voce alla sorella che con grandi occhiali scuri interviene nei vari tg per dire che l’abietta non la frequentava da un anno, ma anche alla madre e alla nonna. Al padre ambiguo che non si sa se sia naturale o adottivo e che nonostante l’abbandono la ama non si sa bene come. E poi agli immancabili vicini di casa che “sembrava proprio una bella famiglia”. Tutto questo su un’ipotesi di colpevolezza, sia chiaro. Continua a leggere →

senza titolo #12

12 domenica Ott 2014

Posted by gliocchidiblimunda in Della scrittura, Diari, interstizi, senza titolo, sogni&sintomi, Topologie, Visioni

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Elif Sanem Karakoç

Elif Sanem Karakoç

Anche quella di molti anni fa era una domenica. Frequentavo le scuole superiori e avevo una pessima bronchite. Come sempre mi capitava ogni inverno. Mi aveva chiamato un compagno di un’altra classe per dirmi che R. si era buttato dalla finestra. Non so dire se è stato per la febbre o per qualcosa che quel giorno per la prima volta mi stava strappando a un senso ineluttabile delle cose ma sono scoppiata in una risata e ho chiesto Ok ma adesso come sta? Delirando e ridendo ero sicura che, nonostante il volo dal quarto piano, R. fosse ancora vivo. Non so perché, forse perché era il ragazzo più intelligente, colto e poetico che avessi mai incontrato fino a quel momento? E quindi avevo escluso dal mio orizzonte di senso che potesse morire a breve? Forse perché nutrivo per lui un sentimento forte di vicinanza, perché mi aveva insegnato l’amore per la filosofia e per la poesia o forse più semplicemente perché immaginavo avremmo fatta molta strada ancora insieme e l’idea di essere rimasta sola mi agghiacciava. Soprattutto a quell’età. Sta di fatto che quel punto, quello strappo del pensiero che improvvisamente ti rende inerme e ti fa vacillare me lo sono portato dietro per molti anni successivi e in diverse forme. Continua a leggere →

Le ore conviviali

14 giovedì Ago 2014

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Grazia Deledda, isre, Nuoro, oltre il giardino

Oltre il giardino. Grazia Deledda e il suo piccolo orto fiorito a Nuoro. «In quei due metri di terreno, proprio miei, c’era un lembo di Eden, un giardino in miniatura, coi suoi rosai dalle rose di ogni colore, colle sue siepi di gelsomini, coi suoi giacinti e i gigli e i giaggioli e le viole e i garofani e persino la ginestra. Lo coltivavo con cura tanto che mio padre mi chiamava la giardiniera»

Il giardino di Grazia Deledda_ foto di Giusy Calia

Il giardino di Grazia Deledda_ foto di Giusy Calia

«La mia vita è silen­zio­sis­sima. Vivo in una casetta tran­quilla per­duta in una pic­cola città che è poi un grosso vil­lag­gio: le mon­ta­gne sono il mio oriz­zonte, i libri i miei amici, il silen­zio, lo stu­dio, i sogni sono i cava­lieri della pic­cola corte del mio inge­gno». È il 1892 e una gio­va­nis­sima Gra­zia Deledda scrive a un suo illu­stre amico con cui intrat­terrà un lungo epi­sto­la­rio: Angelo De Guber­na­tis. Alcune sue cono­scenze set­ten­trio­nali la chia­ma­vano fiore d’agave ed è pur vero, come riba­di­sce lei stessa per­ché – sep­pure l’interno fosse dolce — era nata tra le spine e le con­ser­vava.
Quella casetta tran­quilla, risa­lente alla seconda metà dell’Ottocento, si trova a Nuoro nel rione San Pie­tro. La scrit­trice vi abita fino al suo tra­sfe­ri­mento a Roma (dopo un signi­fi­ca­tivo inter­mezzo caglia­ri­tano), in seguito al matrimo­nio con Pal­miro Made­sani. È l’11 gen­naio del 1900 ma vi si sta­bi­li­sce defi­ni­ti­va­mente solo qual­che mese più tardi.

L’orto che contamina

Gli anni nuo­resi sono cru­ciali: l’apprendistato alla scrit­tura che nel 1926 la farà arri­vare al Nobel per la let­te­ra­tura; i primi scambi con gior­na­li­sti e scrittori incu­rio­siti dal suo talento. Ma anche le prime per­dite che met­tono a dura prova la sua fidu­cia nel mondo: dap­prima la sorella Gio­vanna, poi Enza, il padre e infine la sfor­tuna toc­cata al fra­tello San­tus. Tut­ta­via, nel dispie­garsi ver­ti­gi­noso degli eventi, Deledda custo­di­sce un esatto senso di osser­va­zione del cir­co­stante che non l’abbandonerà più. Continua a leggere →

a Rina, con affetto

18 venerdì Lug 2014

Posted by gliocchidiblimunda in Della scrittura, Diari, sogni&sintomi, Topologie, Visioni

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Rina Fancellu

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«Passa a trovarmi. Ti aspetto». Io e Rina ci siamo conosciute così. Incontrarsi non è proporzionale ai gradi di parentele e alle comunanze di cognomi ma riuscire – a un certo punto – a guardarsi negli occhi e riconoscere un desiderio di attenzione. Era un momento particolare della mia vita, rimettevo tutto in discussione e forse cominciava allora, proprio lì, il mio personale percorso di consapevolezza – per esempio sotto il profilo di una ricerca troppo istituzionale che mi sembrava ormai del tutto arida e priva di corrispondenza con il presente. In questi anni ho pensato che Rina, con quei suoi occhi tra l’indaco e il grigio come nessun’altra, l’avesse capito molto prima di me. C’era qualcosa che mi mutava dentro e lei l’aveva saputo distinguere. Sono andata a trovarla e, come mai avevamo fatto prima di allora, abbiamo parlato. A lungo, senza tanti preamboli. Ho scoperto una donna che amava l’arte della conversazione, curiosa di tutto, libera e generosa. Abbiamo condiviso la passione per le letture, a volte comuni e spesso sollecitate da lei che è sempre stata una fine conoscitrice di libri ma soprattutto del mondo e delle relazioni. Riusciva a disinnescare le mie spigolosità, ne sorrideva molto e ogni volta sentivo qualcosa di esclusivo, che mi alleggeriva e mi faceva avere fiducia. Mi scontravo proprio in quegli anni con alcune contraddizioni che mi avrebbero portata dopo poco ad alcuni distacchi simbolici e definitivi. Rina sapeva già tutto e prendeva le cose, anche quelle più spiacevoli che mi capitavano, con una grazia di altri tempi, una leggerezza del posare il pensiero. Sarà forse perché riusciva a smontare gli ingarbugli: diversamente da me aveva grande capacità di mediazione, un’insistenza gentile, un mettere al centro sempre e comunque il pensiero luminoso dell’esperienza. Continua a leggere →

Le scrittrici e le insegnanti A proposito del recente episodio accaduto al liceo Giulio Cesare di Roma e del libro Sei come sei di Melania Mazzucco

05 lunedì Mag 2014

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Alessandra Pigliaru, Antonella De Vito, Floriana Coppola, Gisella Modica, Giuliana Misserville, Laura Fortini, Liceo Giulio Cesare, Melania Mazzucco, Micaela Ricciardi, Sei come sei, Serena Guarracino, Società italiana delle Letterate

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Le scrittrici e le insegnanti

A proposito del recente episodio accaduto al liceo Giulio Cesare di Roma e del libro Sei come sei di Melania Mazzucco.

Comunicato del Direttivo della Società Italiana delle Letterate

[5 maggio 2014]

Il valore della letteratura non può essere messo sotto censura così come la libertà di insegnamento sancita, ancora, dalla Costituzione: come Società Italiana delle Letterate riteniamo che né Melania Mazzucco né le docenti che hanno scelto di leggere in classe il suo romanzo Sei come sei abbiano bisogno di essere difese.

Ha ragione la preside del liceo Giulio Cesare Micaela Ricciardi quando in una lettera aperta sulla vicenda scrive che la lettura del libro in questione ha avuto «l’obiettivo di sviluppare il piacere di leggere, le capacità critico-letterarie e la riflessione tematica sui molti argomenti che qualsiasi testo letterario, per suo statuto, offre alla crescita di ogni lettore. Questa è la letteratura». Aggiungiamo che la letteratura è un campo di libertà in cui si misura il senso critico e di orientamento nel mondo che non può essere negoziato con ideologismi e tentativi di appropriazione. Continua a leggere →

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