(in ordine sparso e felice, nel 2015)
29 martedì Dic 2015
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in29 martedì Dic 2015
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in15 martedì Lug 2014
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in[quello che segue è l’abstract – suddiviso per punti – di un futuro lavoro su ambivalenza, letteratura e politica che si inserirà nel progetto degli Atti del seminario residenziale SIL 2014.]
– di Alessandra Pigliaru
Nei tre giorni del Seminario abbiamo parlato dell’ambivalenza e sono state proposte una serie di definizioni e suggestioni in relazione ai tre testi scelti per la discussione: L’arte della gioia, di Goliarda Sapienza; Storia di chi fugge e di chi resta, di Elena Ferrante; Venivamo tutte per mare, di Julie Otsuka. Quello che farò è dare conto di tre punti che sono ritornati durante i nostri scambi e che mi interessano in particolar modo. Li sottolineo e li rimetto in circolo per capire se possono essere ulteriormente affrontati: il primo punto riguarda la stessa ambivalenza e la sua distinzione dall’ambiguità. Il secondo punto riguarda la relazione/con-fusione con la madre e le relazioni con le altre donne. Il terzo punto corrisponde invece al dato della materialità.
Primo punto: l’ambivalenza è un concetto profondamente relazionale. Si smarca dall’aut-aut, dunque dal movimento oscillatorio e indecidibile tipico della coscienza infelice, e si mostra nell’et-et. L’ambivalenza è fluida, riguarda il divenire, una soggettività in divenire e non unitaria che si dà come molteplice (il riferimento teorico rilanciato durante il seminario concerne il pensiero di Rosi Braidotti). Già nel partire da sé e andare in un altro luogo, l’ambivalenza significa spesso un «non farsi trovare» (il riferimento è qui ad un’espressione di Luisa Muraro in un suo testo ).
L’ambivalenza non pacifica, non rassicura. È l’accoglienza delle varie parti, anche quelle in ombra. Perché niente è mai completamente in chiaro e, ciò nonostante, quel che non emerge non è detto che ci sia contrario e che sia lì per ghermirci. Autorizzarsi alle contraddizioni è un combattimento per la precisazione del proprio desiderio. Continua a leggere
03 giovedì Apr 2014
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Adriana Cavarero, Aino Suhola, Alice Ceresa, Angela Balzano, Anna Paola Moretti, Annalisa Diaz, Annarosa Buttarelli, Audre Lorde, Emma Baeri, Erika Mann, Ginevra Bompiani, Hanna Suni, Joan Scott, Judith Butler, Lea Melandri, Letizia Paolozzi, Lia Cigarini, Liana Borghi, Luce Irigaray, Ludmila Bazzoni, Luisa Muraro, Margherita Giacobino, Maria Grazia Turri, Marta Gianello Guida, Mary Zournazi, Nadia Fusini, Paestum 2013, Rosi Braidotti, Sara Gandini, Sara Garbagnoli, Savina Dolores Massa, Stefania Tarantino, Tristana Dini, Vincenza Perilli, Viviana Scarinci
06 lunedì Gen 2014
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inMolte grazie a Giovanni Damele per la lettura così accurata e generosa che ha voluto dedicare al mio librino Il sangue privato. Vendetta e onore in Scipione Maffei, Pietro Verri e Cesare Beccaria. Si tratta di due versioni, una breve pubblicata per Recensioni Filosofiche e una più lunga su Scribd
Qui il suo blog.
Qui il suo profilo su Academia.edu.
30 lunedì Set 2013
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A chi spetta una buona vita?, Federico Zappino, Il Manifesto, Judith Butler, La vita psichica del potere, Nicola Perugini
L’assoggettamento, suggerisce Foucault, appare come una forma di dipendenza originaria che non abbiamo la possibilità di stabilire in anticipo ma che ci fonda, certo paradossalmente ma – a quanto pare – inesorabilmente. Così quel potere che sentiamo schiacciante fuori di noi è certamente un’esperienza tra le più dolorose. Tuttavia è importante essere consapevoli che la costituzione stessa del soggetto conversa proprio con (e di) quel potere. Lungo questo crinale si inserisce The Psychic Life of Power: Theories in Subjection (1997, Stanford University Press), una delle riflessioni più dense e interessanti di Judith Butler intorno al potere. Tradotto per la prima volta in Italia nel 2005 da Meltemi, La vita psichica del potere. Teorie del soggetto (Mimesis, pp. 248, euro 20) esce ora in un’edizione completamente rinnovata a cura di Federico Zappino. La tesi principale di Butler è piuttosto disturbante giacché rimanda ad una complicità ambigua che il soggetto intrattiene con il potere e che difficilmente si può estirpare. Una doppia traiettoria fa del soggetto un paradosso temporale: se da una parte il potere indica la qualità di sottomissione del soggetto, dall’altra ne connota lo stesso divenire. Benché Foucault abbia intrapreso la strada del riconoscimento della relazione tra soggetto e potere, è pur vero – secondo Butler – che non ne ha saputo scandagliare interamente le forme così come i domini psichici.
07 sabato Set 2013
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Chiara Turozzi, Desaparecidos, L'Iguana Editrice, La vida venciendo a la muerte, Ludmila Bazzoni, Madres de Plaza de Mayo
Nella storia sociale e politica dell’Argentina degli ultimi quarant’anni, il regime dittatoriale inaugurato nel 1976 da Videla è certamente la pagina più buia e orribile – tra l’altro, per anni distorta da una opinione pubblica interna quasi tutta piegata all’autocensura e alla salvaguardia della repressione. Esiste un’altra storia però che ha saputo opporsi al martorio della giunta militare scassinandone le intenzioni: si parla delle Madres de Plaza de Mayo e della nascita di una nuova e dirompente forma simbolica dell’agire politico. Quando nel 1977 cioè il gruppo originario formato da quattordici donne decide di riunirsi nella piazza antistante alla Casa Rosada, sede del parlamento argentino, cercando verità e giustizia per i desaparecidos, ovvero la sparizione dei propri figli e delle proprie figlie che ad oggi sono circa trentamila. Di questo tenace gruppo di donne, cresciuto potentemente nel corso degli ultimi trentasei anni, ci parla con competenza storica, filosofica e politica il bel libro di Ludmila Bazzoni dal titolo evocativo La vida venciendo a la muerte. Madres de Plaza de Mayo. Filosofia e politica (pp. 138, euro 16), edito da una giovane e interessante casa editrice veronese declinata al femminile: L’Iguana, diretta da Chiara Turozzi. Continua a leggere
08 giovedì Ago 2013
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inC’è un filo rosso che lega le rivolte arabe di Tunisia, Egitto, Libia e Siria? Quell’ordito sottile, più evidente alla nostra attenzione dal gennaio 2011, non accenna a disfarsi, anzi si fa sempre più fitto e infuocato – come registrano le cronache di questi mesi. Nel fronte comune all’oppressione, la presenza femminile è stata, ed è, maestosa. A dirci del suo guadagno sono Leila Ben Salah, giornalista italo-tunisina, e Ivana Trevisani, psicologa impegnata a fianco di organizzazioni non governative sui traumi post-bellici. L’occasione è un libro firmato da entrambe e dal titolo eloquente: Ferite di parole. Le donne arabe in rivoluzione, mille fuochi di voci di gesti e di storie di vita (Poiesis editrice, pp. 187, euro 16). Non si tratta di un saggio né di un dossier asciutto e neutrale; diciamo subito infatti che la forma scelta dalle due autrici è quella del viaggio accogliente e intensamente emotivo attraverso la testimonianza diretta delle protagoniste. E sono talmente tante le donne coinvolte in quelle rivoluzioni che durante la lettura si ha quasi la sensazione di un leggero stordimento pensando alla qualità di tutte le loro storie. Continua a leggere
16 martedì Lug 2013
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Autorità, C'è una bella differenza, et al, femminismo, Lia Cigarini, Luisa Cavaliere, Luisa Muraro, rosenberg & sellier
Nella storia del pensiero, e soprattutto in quella della moderna civiltà occidentale, esistono idee controverse di non facile digestione. Alcune, in particolare, sembrano scontare un passato e una stratificazione storico-politica tesa a sovrastarne il significato effettivo. Sembra che all’idea di autorità accadano entrambe le cose, contesa come è da chi ne rigetta completamente il senso e da chi le manifesta una costante diffidenza.
Da molti anni, la riflessione intorno al tema dell’autorità è centrale nel femminismo della differenza italiano di cui Luisa Muraro è figura di spicco. Leggere oggi il suo nuovo libro dal titolo «Autorità» (Rosenberg & Sellier), consente di fare il punto su una questione spinosa e decisiva come quella dell’autorità, per mostrarne la posta in gioco nel presente del dibattito politico. Il libro è un lungo ragionamento, costellato da numerosi riferimenti filosofici, storici, artistici e letterari. Muraro sceglie alcune figure che più di altre forniscono la possibilità di interrogazione intorno all’autorità. Continua a leggere
23 domenica Giu 2013
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inNella costellazione del pensiero occidentale, Luce Irigaray ha un posto di primo piano e non solo perché è una delle più lucide e originali filosofe e interpreti della contemporaneità. La ragione poggia piuttosto sulla felice congiunzione di ricerca, scrittura, linguaggio e politica che in Irigaray sembra dettata da una stupefacente capacità di andare al nocciolo delle questioni. La sua riflessione, mappa multidisciplinare e generosa, si muove infatti con agio tra numerosi campi del sapere tutti decostruiti e letti a partire dalla differenza sessuale – pensiero quest’ultimo a cui la filosofa ha dedicato pazientemente la sua intera esistenza. La si conosce fin dai primi anni Settanta, quando entrò nel dibattito teorico-politico con la radicalità di Speculum (1974) che le costò l’espulsione dall’École Freudienne allora diretta dal suo maestro Jacques Lacan. Al simbolico di quella esclusione, esito della cecità di una tradizione maschile che ha preteso onanisticamente di legittimare solo se stessa, Irigaray è tornata più volte. Eppure l’essere guardata con sospetto e viva preoccupazione, l’essere accusata di infedeltà proprio dalla comunità scientifica cui fino a un momento prima apparteneva, è stata forse la sua grande fortuna. E, insieme, la nostra visto che dallo strappo irriverente di Speculum fino ad oggi abbiamo avuto la possibilità di conoscere un’altra storia raccontata e decostruita tenendo conto della differenza sessuale. Au commencement, elle était è il suo ultimo libro, ora tradotto in Italia da Antonella Lo Sardo per Bollati Boringhieri con il titolo All’inizio, lei era. Frutto di una lunghissima meditazione durata diversi anni, i cinque capitoli che lo compongono sono – quasi tutti – altrettanti interventi che la filosofa ha preparato in alcune occasioni di dibattito pubblico, da Rotterdam a Oxford passando per New York. L’idea del libro però la accompagna da molto tempo, prima della fine del xx secolo – scrive. Ugualmente vero è che già il titolo pressappoco lo custodiva e lo preannunciava nel 2006, nella sua prefazione al volume In tutto il mondo siamo sempre in due. Continua a leggere
18 sabato Mag 2013
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in
«Hai memoria di questo mondo? | Sai come si chiama questo mondo? || Tutti lo chiamano mondo, ma qual è | il suo vero nome? || Il sole, sai come si chiama il sole? | Perché non risponde mai? E l’incendio?… È già finito? | E l’acqua… Che nome ha | che nome ha? || E tu che mi chiami di notte | come mi chiami? | Ti ricordi il colore dei miei capelli?».
Dal silenzio alla scelta esiste un’età propizia e congrua in cui apprendere l’esercizio del ritmo. Ricordarlo e accoglierlo mentre (ci) avanza. Il corpo della poesia si sa trasfigurare dunque in un orizzonte dirimente; non c’è più un taglio che lascia attoniti, c’è invece l’edificazione della scelta e della distinzione del tempo e dello spazio.
Inna Zet Nikka e Sasa sono i protagonisti del nuovo lavoro poetico di Ida Travi. Loro dimorano la terra di Zard, sono i parlanti di una lingua sconosciuta e vicina, i Tolki, che seguono il rintocco di un tempo altro, di un’attesa a picco che li rende prossimi al circostante. Eppure quell’attesa ha l’esplorazione della pausa, di un fermarsi per registrare e confermare ciò che si è messo in scena fino all’istante dello strappo dal buio. Ur è invece la struttura mancante, è la terra del non ritorno che frana il passo. A lui non si può reclamare niente tant’è che non vive insieme a loro, si incontra al bordo, si invoca senza risposta. Ur, il ferramenta, non aggiusta lo sparpagliamento del già accaduto, del ritardo dell’attenzione. Il compito è affidato ad un precedente corredo familiare: quello di Inna, l’abitante, Zet, l’ospite, Nikka, la vecchia, e Sasa, il bambino. Ognuna e ognuno di loro rappresentano l’opportunità di un mondo che può ricomporsi, e al contempo un ruolo che stabilisce la regione misteriosa e generosa di buone notizie se ascoltate e maneggiate con dedizione. Eppure è la sola Inna che sa pronunciare il proprio nome, che conosce il silenzio dal quale si è sottratta e che custodisce il segreto della gratitudine. Lei è freccia del tempo. Gli altri sono chiamati, lei si dà del tu. Inna è l’elemento che principia, l’unica presenza che desidera quell’abitare in tutta la sua incandescente contraddizione. Continua a leggere