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Gli occhi di Blimunda

~ visioni critiche in frammenti

Gli occhi di Blimunda

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Clara, Mirina e altre storie

22 domenica Gen 2017

Posted by gliocchidiblimunda in Ospiti, società, sogni&sintomi, Topologie, Uncategorized, Visioni critiche

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Clara Gallini

galllini2-300x225Luminosa audace e ardente, così Christa Wolf descrive l’amazzone Mirina, una delle protagoniste del suo romanzo Cassandra. Aveva però negli occhi anche una certa nostalgia. Di quelle acute, osserva Wolf. Così la strana creatura dalla fisionomia chiaroscurale che non credeva nelle predizioni, fedele compagna di Pentesilea, metteva a repentaglio il proprio corpo tutto nella lotta per la verità. Clara Gallini, scomparsa ieri all’età di 85 anni, aveva scelto proprio il nome Mirina per la gatta che da anni le faceva compagnia nella casa romana in via Sant’Antonio all’Esquilino. Una piccola viuzza, riparata dal frastuono del quartiere e tuttavia popolata da una moltitudine di storie. «Il romanzo di Christa Wolf mi era talmente piaciuto, il nome Mirina però l’ho scelto non per ricordarmi del suo carattere indomito ma per la dolcezza del suono». Schiva e pur sempre diretta, Clara Gallini non amava i convenevoli né le noiose formalità, sia dell’ambiente accademico che mondano. E in quel pomeriggio tiepido, si distingueva bene che di Mirina anche lei possedeva qualcosa di profondo. Nella sinuosità della figura, infine nel coraggio irriverente della sopravvivenza a una malattia che l’aveva ultimamente provata nel corpo, lasciandole tuttavia la cosa più importante, una mente dotata di un acume eccezionale. Ne dà prova nel suo ultimo libro, Incidenti di percorso, pubblicato con lungimiranza da Nottetempo quando, nell’incontro con l’allora direttrice Ginevra Bompiani, pensò di scrivere cosa le era accaduto. Ne viene fuori un resoconto che è diario di intensa auscultazione interna e osservazione partecipata di cui però, a differenza degli ambiti di cui si era fin lì occupata, il soggetto era lei stessa. Si era fatta campo di indagine e maestra di invenzione, ancora una volta. Era riuscita a intravvedere nella malattia e nella cura esperienze ineludibili, nel doppio passo della fragilità e della gaurigione.

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La voracità del voto

25 sabato Giu 2016

Posted by gliocchidiblimunda in Pensiero, società, sogni&sintomi, Topologie, Visioni critiche

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Blu (Jesi)

Fedele all’ingordigia, al cattivo gusto e alla mancanza di misura. Fedele alla tracotanza, alla superbia telepolitica e alla supponenza. Se c’è una cosa che l’ordine dei francescani dovrebbe avere interiorizzato è proprio l’osservanza dell’opposto di tutto ciò. Chi ne fa parte, di quell’ordine, e che giurava fino a poco tempo fa di voler fare solo ritorno alle mansioni che esso prevede, non può certo perseguire la scelta di accettare un posto da assessore. Soprattutto se viene proposto nella città dove si è stati appena prosciolti dall’accusa di violenza sessuale e privata – con una sentenza resa nota di recente – ai danni di una donna, una suora. Tania. Fino a pochi mesi fa Fedele Bisceglia, francescano al centro di queste accuse pesantissime, aveva una condanna a 9 anni e rotti. Lo scandalo di violenza sessuale che lo aveva travolto, soprattutto perché dettagliato da intercettazioni che dipingevano una condotta piuttosto discussa, oltre ad aver scatenato le ire di quante si erano da subito e giustamente affiancate in solidarietà a suor Tania, avevano restituito l’immagine di un uomo piuttosto imbarazzante. Continua a leggere →

(in ordine sparso e felice, nel 2015)

29 martedì Dic 2015

Posted by gliocchidiblimunda in Della scrittura, Femminismo, Letture, Libri, Pensiero, Recensioni, Saggi, sogni&sintomi, Visioni critiche

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nature morte

29 martedì Dic 2015

Posted by gliocchidiblimunda in Cinema, Letture, Recensioni, senza titolo, sogni&sintomi, Visioni

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Eddie Marsan, Joanne Froggett, Still life, Uberto Pasolini

Still Life 5La morte che si può raccontare è sempre quella di altri. L’esperienza della propria scomparsa definitiva è infatti incomunicabile. Fare narrazione della morte diventa allora qualcosa a cui si assiste. Indifesi o più o meno preparati, si tratta sempre di un fuori da noi inevitabile. È tuttavia attraverso la morte dell’altro che viene fatta esperienza di alcuni sentimenti, alcune situazioni-limite che consentono di elaborare il lutto – quello presente o quello futuro che ci riguarderà. In questo sfondo gravita un film che ho visto recentemente e che si intitola Still Life, scritto e diretto da Uberto Pasolini. Il protagonista è un impiegato comunale che si occupa di rintracciare i famigliari e gli amici di chi scompare e, nel caso di assenza dei primi e dei secondi, si incarica – attraverso il municipio inglese di appartenenza – delle esequie. John May è un uomo ordinario, grigio e silenzioso, ha 44 anni ma ne dimostra molti di più. Ha occhi chiari e un volto sempre al limite del sorriso. Se l’espressione “still life” significa genericamente “natura morta”, molte sono le pose fotografiche della morte che John May apparecchia ogni giorno. Dai faldoni accuratamente archiviati che riportano in breve la vita di chi muore in solitudine, al pasto in scatola che consuma nella propria casa. Un allineamento maniacale che gli consente di fare arretrare l’angoscia scomposta e l’incomprensibilità di vite a perdere. Il rito è sempre il medesimo, senza scandalo: va nelle case di chi muore, prende con sé fotografie, oggetti piccoli e all’apparenza trascurabili. Cerca di rintracciare chi è stato in relazione con l’estinto e, se la risposta è negativa, si occupa del funerale. In alcuni casi immagina la vita di chi è morto, si rappresenta cioè la morte di un altro come fosse un proprio caro. Come fosse un amico. Senza giudizio. Fa cioè interferire in un lavoro puramente meccanico e impiegatizio un’etica della responsabilità insieme a una sorta di strana spiritualità del gesto. Continua a leggere →

senza titolo #14

11 domenica Gen 2015

Posted by gliocchidiblimunda in società, sogni&sintomi, Topologie, Visioni, Visioni critiche

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NIGERIA NEL SANGUE VERSO IL VOTO, SFOLLATI MUOIONO DI FAME

“kamikaze forse a sua insaputa o non volontaria”

tradotto significa che per qualche giornale italiano sembra legittimo il sospetto su una bambina di dieci anni che fa la kamikaze “volontariamente” e “consapevolmente”?

Aggiungo una bambina senza nome, che non ha incarnato nessun grande valore europeo e che per questo non è nessuno di “noi”. Né di “loro”. Non c’è immedesimazione possibile. Cadrà molto banalmente nel dimenticatoio dei tanti «indegni di lutto» che non arrivano alla semplice presenza terrestre, nonostante siano esistiti anche loro. Di questa bambina non ci sono foto, non ci sono fiori, è stata buttata lì dove è nata e poi – riempita di esplosivo – lasciata entrare in un mercato nigeriano. Così. Della sua vita, di quella vulnerabilità inservibile che non interessa a nessuno e che manda in corto-circuito qualunque analisi geo-politica, è stato fatto scempio, insieme alla vita di altre diciannove persone che erano presenti in quel mercato. In una rapina costante e indigeribile della vulnerabilità, in un mondo che sembra una caricatura grottesca di qualche episodio di Black Mirror, paradossalmente si implode in una disumanità senza limiti. Così come senza limiti è l’empatia guadagnata nel carezzare la “nostra”, molto italiana ed europea, idea di identità. Bisogna difenderla come il bene più bello – ha detto recentemente qualcuno commentando i fatti di Parigi. Continua a leggere →

senza titolo #13

16 martedì Dic 2014

Posted by gliocchidiblimunda in società, sogni&sintomi, Topologie, Visioni critiche

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Veronica Panarello

imagesHa preso avvio lo sport preferito di un sacco di gente, quella roba vomitevole di investigare l’infelicità e lo sprofondo altrui e di metterci bocca. Sempre e comunque. Anche perché sulla propria di infelicità, sull’orlo che spinge quasi nel precipizio e dal quale ci si salva spesso un po’ per caso meglio sorvolare. Spesso non ci sono parole adeguate neppure immedesimandosi autenticamente, figuriamoci poi fingendo di poterlo fare. Ma chissenefrega, lo si fa uguale. Si sezionerà ogni cosa anche questa volta, e lo si sta già facendo. Con spocchia perbenista, con morbosità mortuaria e con altrettanta sicumera psichiatrica su chi ha fatto cosa quando come e da quanto lo meditava. Quell’infelicità la si analizzerà inutilmente immaginando di saper vedere negli abissi altrui attraverso l’incompetenza di esperti che andranno a ingrassare le fila di molti talk-show, testate apposite cartacee e on-line. Ne sentiremo parlare per mesi e forse per anni del passato ingombrante di una venticinquenne, delle sue dubbie relazioni, di lei madre da ragazzina, dei due tentativi di suicidio en passant, ancora di quando si è spostata in lungo e in largo per lavoro o per chissà che cosa, si darà voce alla sorella che con grandi occhiali scuri interviene nei vari tg per dire che l’abietta non la frequentava da un anno, ma anche alla madre e alla nonna. Al padre ambiguo che non si sa se sia naturale o adottivo e che nonostante l’abbandono la ama non si sa bene come. E poi agli immancabili vicini di casa che “sembrava proprio una bella famiglia”. Tutto questo su un’ipotesi di colpevolezza, sia chiaro. Continua a leggere →

senza titolo #12

12 domenica Ott 2014

Posted by gliocchidiblimunda in Della scrittura, Diari, interstizi, senza titolo, sogni&sintomi, Topologie, Visioni

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Elif Sanem Karakoç

Elif Sanem Karakoç

Anche quella di molti anni fa era una domenica. Frequentavo le scuole superiori e avevo una pessima bronchite. Come sempre mi capitava ogni inverno. Mi aveva chiamato un compagno di un’altra classe per dirmi che R. si era buttato dalla finestra. Non so dire se è stato per la febbre o per qualcosa che quel giorno per la prima volta mi stava strappando a un senso ineluttabile delle cose ma sono scoppiata in una risata e ho chiesto Ok ma adesso come sta? Delirando e ridendo ero sicura che, nonostante il volo dal quarto piano, R. fosse ancora vivo. Non so perché, forse perché era il ragazzo più intelligente, colto e poetico che avessi mai incontrato fino a quel momento? E quindi avevo escluso dal mio orizzonte di senso che potesse morire a breve? Forse perché nutrivo per lui un sentimento forte di vicinanza, perché mi aveva insegnato l’amore per la filosofia e per la poesia o forse più semplicemente perché immaginavo avremmo fatta molta strada ancora insieme e l’idea di essere rimasta sola mi agghiacciava. Soprattutto a quell’età. Sta di fatto che quel punto, quello strappo del pensiero che improvvisamente ti rende inerme e ti fa vacillare me lo sono portato dietro per molti anni successivi e in diverse forme. Continua a leggere →

a Rina, con affetto

18 venerdì Lug 2014

Posted by gliocchidiblimunda in Della scrittura, Diari, sogni&sintomi, Topologie, Visioni

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Rina Fancellu

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«Passa a trovarmi. Ti aspetto». Io e Rina ci siamo conosciute così. Incontrarsi non è proporzionale ai gradi di parentele e alle comunanze di cognomi ma riuscire – a un certo punto – a guardarsi negli occhi e riconoscere un desiderio di attenzione. Era un momento particolare della mia vita, rimettevo tutto in discussione e forse cominciava allora, proprio lì, il mio personale percorso di consapevolezza – per esempio sotto il profilo di una ricerca troppo istituzionale che mi sembrava ormai del tutto arida e priva di corrispondenza con il presente. In questi anni ho pensato che Rina, con quei suoi occhi tra l’indaco e il grigio come nessun’altra, l’avesse capito molto prima di me. C’era qualcosa che mi mutava dentro e lei l’aveva saputo distinguere. Sono andata a trovarla e, come mai avevamo fatto prima di allora, abbiamo parlato. A lungo, senza tanti preamboli. Ho scoperto una donna che amava l’arte della conversazione, curiosa di tutto, libera e generosa. Abbiamo condiviso la passione per le letture, a volte comuni e spesso sollecitate da lei che è sempre stata una fine conoscitrice di libri ma soprattutto del mondo e delle relazioni. Riusciva a disinnescare le mie spigolosità, ne sorrideva molto e ogni volta sentivo qualcosa di esclusivo, che mi alleggeriva e mi faceva avere fiducia. Mi scontravo proprio in quegli anni con alcune contraddizioni che mi avrebbero portata dopo poco ad alcuni distacchi simbolici e definitivi. Rina sapeva già tutto e prendeva le cose, anche quelle più spiacevoli che mi capitavano, con una grazia di altri tempi, una leggerezza del posare il pensiero. Sarà forse perché riusciva a smontare gli ingarbugli: diversamente da me aveva grande capacità di mediazione, un’insistenza gentile, un mettere al centro sempre e comunque il pensiero luminoso dell’esperienza. Continua a leggere →

dell’ambivalenza – un abstract

15 martedì Lug 2014

Posted by gliocchidiblimunda in Della scrittura, Documenti politici, Femminismo, Inediti, Letture, Libri, Pensiero, Saggi, sogni&sintomi, Visioni critiche

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Diane Arbus

Diane Arbus

[quello che segue è l’abstract – suddiviso per punti – di un futuro lavoro su ambivalenza, letteratura e politica che si inserirà nel progetto degli Atti del seminario residenziale SIL 2014.]

–          di Alessandra Pigliaru

Nei tre giorni del Seminario abbiamo parlato dell’ambivalenza e sono state proposte una serie di definizioni e suggestioni in relazione ai tre testi scelti per la discussione: L’arte della gioia, di Goliarda Sapienza; Storia di chi fugge e di chi resta, di Elena Ferrante; Venivamo tutte per mare, di Julie Otsuka. Quello che farò è dare conto di tre punti che sono ritornati durante i nostri scambi e che mi interessano in particolar modo. Li sottolineo e li rimetto in circolo per capire se possono essere ulteriormente affrontati: il primo punto riguarda la stessa ambivalenza e la sua distinzione dall’ambiguità. Il secondo punto riguarda la relazione/con-fusione con la madre e le relazioni con le altre donne. Il terzo punto corrisponde invece al dato della materialità.

Primo punto: l’ambivalenza è un concetto profondamente relazionale. Si smarca dall’aut-aut, dunque dal movimento oscillatorio e indecidibile tipico della coscienza infelice, e si mostra nell’et-et. L’ambivalenza è fluida, riguarda il divenire, una soggettività in divenire e non unitaria che si dà come molteplice (il riferimento teorico rilanciato durante il seminario concerne il pensiero di Rosi Braidotti). Già nel partire da sé e andare in un altro luogo, l’ambivalenza significa spesso un «non farsi trovare» (il riferimento è qui ad un’espressione di Luisa Muraro in un suo testo ).

L’ambivalenza non pacifica, non rassicura. È l’accoglienza delle varie parti, anche quelle in ombra. Perché niente è mai completamente in chiaro e, ciò nonostante, quel che non emerge non è detto che ci sia contrario e che sia lì per ghermirci. Autorizzarsi alle contraddizioni è un combattimento per la precisazione del proprio desiderio. Continua a leggere →

Ida Travi, Katrin. Saluti dalla casa di nessuno

16 mercoledì Apr 2014

Posted by gliocchidiblimunda in Della scrittura, Letture, Libri, Ospiti, Pensiero, Poesia, Prosa poetica, sogni&sintomi, Topologie, Visioni, Visioni critiche

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Katrin_di_Ida_Travi

Nel ritmo della ripetizione [postfazione a Ida Travi, Katrin. Saluti dalla casa di nessuno]

«Se volete vedere il miracolo | tenete la scatola chiusa | Lasciate gli animali nella loro natura | Togliete il recinto al regno di Dio». Quando della nascita c’è nostalgia fuori misura e non ne si sa tenere fra le mani la responsabilità, si manifesta un universo chiuso e asfittico in cui tutto si mescola. La culla, luogo del passaggio e della scoperta della vulnerabilità, diviene così un attaccamento inappropriato che non ordina il circostante e neppure l’intensità del dirsi in relazione. Se ne Il mio nome è Inna il mondo si era ammalato «come un bambino piccolo», la nuova silloge di Ida Travi, Katrin. Saluti dalla casa di nessuno, si apre all’insegna del miracolo della visione, l’altro nome della libertà. Quella di cui tutti i viventi sono provvisti nello scardinamento dei recinti. Quella cercata nella preghiera dell’interezza della poesia. Nell’istante strappato e fortunato del raccoglimento. In silenzio. Non c’è separazione dal mondo bensì distanza benedetta dall’orlo cieco della soggettivazione. A promettere resurrezione terrestre viene avanti Katrin. Nel coraggio di aver attraversato la perdita, non può che arrivare dopo Inna. È troppo giovane per aver acconsentito ad accudimenti non suoi pur ammettendo che si avverte come «Il mondo non è meraviglioso | non viene a salutare, niente culla». Ma lei supera l’incuria. Ricorda. E infatti illumina la traiettoria indicata da Inna, con gratitudine. Katrin detta la mappa del cielo insieme a quel suo digiuno-rifugio del grembiule, trattenuto con la pacificazione di una regina priva di corona. «Credi che sia facile per me | lavorare ogni giorno | allacciarmi ogni volta il grembiule? || Come quando mi scendevano | le lacrime, come quando staccavo la macchina e di colpo | schizzavano le polveri in faccia». Il grembiule è una volta celeste che respinge la condizione del castigo, è lo spazio simbolico che le ricorda chi è: una creatura diafana che chiama a sé l’incedere stesso del tempo poetico. Nel ritmo di una ripetizione, quando vi è la capacità di fare arretrare la miseria per aprirsi alla rotondità del pianto. «Sono Katrin, io, sono l’abitante, la paziente», con il pallore che fende il «cerchietto di vapore sulla testa» da santa pagana e un pettine a mettere ordine nello scompiglio. Non le serve nient’altro in fondo. Continua a leggere →

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