Ci vuole impegno per separarsi dalle pagine incandescenti di Dio è violent, il piccolo e prezioso pamphlet scritto da Luisa Muraro per le edizioni Nottetempo. Si legge e si rilegge in quanto libro difficile e complesso che va discusso con risoluzione. La scrittura della filosofa è qui un nutrimento necessario per gli occhi, per il cuore ma soprattutto per la volontà, e ho desiderato – seppure per un attimo – non avesse fine perché mi ha dato del tu fin dal primo rigo. Senza infingimenti perché ha preso per mano tutte le mie parti, soprattutto quelle oscure e apparentemente senza via d’uscita interrogandole con dedizione. Nelle settantadue fittissime paginette di Dio è violent assistiamo ad una dichiarazione appassionata ed esatta di ciò che manca alla politica istituzionale (o forse dovremmo dire alla logica spartitoria e arida che quella politica è diventata): l’efficacia e l’autorità, appunto – quelle che si misurano nell’agire amoroso di chi mette al centro il proprio desiderio e il partire da sé. Efficacia e autorità con nome di donna che si mostrano schiettamente solo in presenza di tutta la forza necessaria, e che fanno da contrappunto alla violenza sradicando ogni possibilità di avvilimento e avvitamento su noi stesse/i. Sono capacità forti anch’esse che scardinano e che, quando le desideriamo, ci rimettono al mondo. Con tutta la forza necessaria, sarà bene ripeterlo giacché è solo affidandoci alla forza simbolica necessaria che sostituiremo il disamore costante nei confronti del reale con un fecondo e adeguato agire politico. Sì. Ed è in quel si sovversivo che si deve trovare la leva adatta per decostruire, in prima istanza, le scelte al ribasso che ci vengono propinate e per riconoscere, specialmente nello sguardo femminile, un inedito modo di stare al mondo, con ordine. Muraro per prima cosa giustifica il ricorso a Dio spiegando così: Mi serve introdurlo nei ragionamenti che non lo prevedono per scavalcare certe divisioni fissate dal razionalismo borghese. Quello, per intenderci, che organizza l’enciclopedia dei saperi e lo fa in una maniera che certe volte è censura. (p. 10). Attraverso ciò, la filosofa scruta con cura un carattere di violenza sfacciatamente contemporaneo, qualità che decide di usarci e alla quale dovremmo invece opporci non prima di averne scandagliato il perimetro. A riguardo è molto chiara così come è molto netta quando si riferisce alle tre guerre in corso (Palestina Iraq e Afghanistan) dove ciò che conta sono i rapporti di forza, il resto è disordine (cfr. p. 13). Insieme alle guerre dichiarate ce ne sono altre che si aprono e si attuano in nome e per conto di interessi politici a vario titolo, esercitazioni con mascheramenti vari, violenze più o meno diffuse atte a soverchiare e sopprimere la partecipazione democratica. Perché sulla partita della cosiddetta buona convivenza si gioca purtroppo la pretesa arrogante del potere costituito di decidere sui nostri desideri. Che piaccia o no, quello stesso potere per reggersi indisturbato gioca sulla media incapacità di arrogarsi (nel senso etimologico del termine) da parte di chi guarda. Quell’arrogarsi non ha niente a che vedere con l’indignazione bensì è la capacità di dotare di forza simbolica i nostri gesti quotidiani di resistenza (parola che Muraro non utilizza ma che introduco io per chiarire a me stessa); quei gesti abbisognano di politica, di passaggio alla politica (che non aderisce al fallimento del potere costituito). Si tratta fin da subito delle radici della violenza che spesso e volentieri sono state nascoste in tutta la loro aberrante e significativa tenacia. Si tratta di accostare anzitutto, un passo dopo l’altro, la piena menzogna su cui la modernità si fonda. È una narrazione infatti che ha previsto un inganno originario (più di uno a dire la verità), divenuto poi dispositivo in mano ad un sistema ormai talmente cadaverico e marcio da non mostrare più alcun segnale di speranza. È andato, facciamocene una ragione. Le spoglie di quel sistema tuttavia, ingordo e molestatore, non hanno ancora trovato requie. Si dispongono e dispiegano invece davanti a noi tutte e tutti in un’assoluta e ingombrante contraddizione che va dipanata e detonata. Perché a fare le spese di quelle vuote vestigia siamo noi per prime/i. E si nascondono anche quelle spoglie, quei verminai della storia che tracimano di indigesta collera, travestendosi da giusti quanto obbligatori passaggi per conto di una pace, fasulla e traditrice, che non corrisponde alla realtà. Gridano, facendo finta di essere dolenti, che il potere e la politica dovrebbero essere la stessa cosa quando sappiamo bene come sia stato quel solco inaudito ad aver generato la confusione in cui ci troviamo. Ché loro, quelle spoglie già decomposte da tempo, sono le uniche a dover dettare le priorità del circostante così come delle relazioni che di quel circostante fanno parte. Questa confusione poggia su un imbroglio, dicevamo, che Muraro sostiene stia all’altezza del cosiddetto contratto sociale (corrispettivo al contratto sessuale che è stato già disaggregato dalla rivoluzione femminista) sottoscritto soprattutto da parte maschile per una convenzionale fine della barbarie. Pratiche selvagge che – come è noto – si sono mimetizzate in raffinate strategie del controllo sociale senza mai perdere il loro carattere d prevaricazione. Sappiamo bene quanto quel contratto sia falso, almeno quanto la bontà originaria o il tentativo di immaginarci perdutamente una pace preconfezionata (chissà che uno di questi giorni ci spunti la tanto agognata aureola insieme al fiore in bocca) e soprattutto come tutto ciò sia stato bellamente utilizzato da sedativo per tacere di un dato imperituro e nemmeno tanto oscuro: la violenza in tutta la sua virulenza. Violenza che infatti, secondo la filosofa, non è mai venuta meno ed è rimasta invece soffocata da una caterva di riflessioni filosofiche e morali che non centrano il punto, soprattutto nell’oggi. Violenza che ci taglia gli artigli rendendoci innocue e ammaestrate bestiole, e che ci impone un adattamento unilaterale perché emanata da un legalizzato modus operandi: quello della sopraffazione (e dell’autocompiacimento nei confronti della stessa). L’ipotesi paventata da Muraro prende così le mosse da un assunto fondamentale: A queste condizioni, se veramente non c’è altro da sapere o da fare, io dico: la storia ha voltato pagina? Bene, noi le volteremo le spalle. (p. 16). Le condizioni sarebbero quelle per cui, in nome e per conto di una civile convivenza, un essere stabilisce di accettare – più o meno supinamente – ciò che gli è offerto, o sarebbe meglio dire inferto. Per quel contratto cioè, basato su di un accordo dispari e ipocritamente tutelante, una persona fa la sua parte e aderendo, non sapendolo, (o forse volutamente continuando a ignorarlo) ad un ordine che mette in atto una sequela di indicibili e variabili atrocità, bevendosi che la cosa pubblica riguarda anche lui o lei. La proposta di Muraro è la seguente: La persona di cui sto raccontando, a questo punto, può protestare, tacere, ammalarsi. Può fare un’altra cosa, che io propongo in alternativa: può ritirare il suo tacito consenso all’ordine che regola la convivenza. E dirsi, con un atto interiore che avrà delle conseguenze pratiche: io non ci sto, non do più il mio credito alle leggi e alle autorità costituite, mi riprendo l’intera disponibilità di me e della mia forza, devo amministrarla io, poca o tanta che sia, e mi do la licenza di usarla. (pp. 18, 19). Non si chiacchiera, si badi bene, di un’antiteoria della giustizia e nemmeno della fondazione di un alternativo e parallelo ordinamento giuridico, si tratta piuttosto di una indiscutibile e autentica pratica politica che non si declina nel discredito colante dai palazzi del potere; lì c’è solo il posto vuoto di chi ormai rappresenta solo se stesso, prima che pure quel “se stesso” venisse meno; si tratta invece di riprendersi quella delega che acconsentiva all’uso della nostra volontà soggettiva e, insieme ad essa, anche la forza simbolica. Non capisco, sinceramente, come questo abbia gettato nello sconforto e nella preoccupazione molti lettori del libro di Muraro. Me lo spiego solo pensando che raccontarsi ancora storielle sulla questione della bontà e democraticità innata dell’umanità tutta forse aiuti a illudersi meglio, seppure questo comporti una parziale visione delle cose e del mondo. Come si fa a non essere d’accordo, per esempio, con l’assertiva tesi secondo cui non sarà in nostro nome che lo Stato continuerà a distorcere la buona volontà deviandola in tacito consenso per le nefandezze di cui si fa portatore? La filosofa spiega in che modo: La predicazione antiviolenza non manca certo di argomenti morali ma le manca ormai un punto di leva per sollevare le giuste pretese e abbassare l’arroganza dei potenti. Anticamente il punto di leva era la parola divina; modernamente è stato l’ideale del progresso. Che oggi è morto, al pari e forse più di Dio. (p. 29). Questa presa d’atto impone anzitutto un discorso sensato e importante sulla forza, una riflessione pesante ma essenziale giacché c’è una violenza nelle cose e fra i viventi che prelude a un ritorno della legge del più forte: dobbiamo pensarci. (p. 30). Forza e violenza – strettamente lette in chiave politica – per Muraro non sono la stessa cosa ma è nei loro pressi che si troverà la leva di cui abbiamo bisogno: in Dio è violent si discute della nostra forza che dovremmo custodire e della violenza che non è mai un mezzo di cui disponiamo poiché la violenza non è a nostra disposizione, piuttosto viceversa. (p. 47). L’ipotesi su cui mi interrogo è la seguente: se guardando alla forza e alla violenza come idee diverse ma sensibilmente legate, è possibile concentrarci – da quella precisa regione indicata da Muraro che ha a disposizione gli esseri viventi e le cose – sul mantenimento della forza senza farci usare dalla violenza? Siccome infatti la violenza non è a nostra disposizione ma viceversa, l’imposizione della rinuncia alla violenza porterà con sé la deprivazione anche della forza. Questi due concetti necessitano di occhi spalancati e di grande attenzione. In questo senso dobbiamo agire, senza posa. Fermarsi significherebbe infatti sostare in un crocicchio: tutt’altro, dobbiamo invece dare parola alla nostra forza, dobbiamo sistemarla per disinnescare la violenza e l’ingiustizia. Il monito è chiaro: L’azione semplicemente violenta – scrive Muraro – non esiste, perché sarebbe il puro contrario di un’azione, una distruzione di possibilità. L’azione violenta è pura disperazione; le azioni di tipo terroristico escono dalla sfera della politica ed entrano in quella della disperazione (…) Esiste invece l’azione possibile ed efficace, alleata all’energia immanente dell’essere. (pp. 70, 71). Accogliere la manifestazione della violenza, il suo mostrarsi di cui la stessa filosofa avverte poco dopo, significa dare ospitalità ad un aspetto che, se non censurato in nome di una equità che invece è arroganza del potere o di una predicazione antiviolenza che predica solo se stessa, consente uno spostamento politico cruciale: quello che si apre all’interrogazione indicata dalla stessa Muraro: E io, qui? (p. 69). Non si tratta di una domanda senza risposta, si colloca invece come spartiacque dirimente sul destino della politica che deve praticare la differenza, seguendo un desiderio di protagonismo e giustizia (cfr. p. 71). Certo si dovrebbe discutere la qualità di quel protagonismo per evitare errori, distillarlo di tutte le possibili ed esiziali contaminazioni che fanno disordine. La prima potrebbe essere quella della fame di prestigio, l’ansia narcisistica di scrollarsi di dosso ogni responsabilità per mettere a tacere l’altro da noi come fosse un gingillo trascurabile. La seconda contaminazione emerge in capo alla misura della forza, soprattutto femminile, considerata come un groviglio non da automoderare ma da mettere a frutto. Quanta forza infatti dobbiamo traversare per dirci in presenza di una giustizia che aderisca almeno vagamente ai nostri desideri? La violenza di cui parla Muraro ha così due valenze, tante quanti sono i punti di avvistamento su di essa: la prima è quella di conoscerne l’inganno, la seconda è quella di distinguerne le fondamenta: e soprattutto non si tratta della giustificazione della pratica violenta, come ho letto in giro in alcune recensioni fin troppo approssimative e che non credo abbiano inteso il libro senza pregiudizi, non si tratta neppure dell’elogio del rivendicazionismo acritico che comporterebbe un azzeramento di ciò che è stato fatto dalla politica delle donne. Siamo piuttosto in presenza di un nodo che, nominato con cura, finisce di tenerci sotto scacco e che consente di trovare le parole per dirlo: quello di un’ipotesi di giustizia che va vista al dritto e al rovescio e che prevede la disfatta di un attaccamento durato fin troppo. Questa opposizione, questa disobbedienza deve essere violenta? Io non lo credo e Muraro non lo scrive mai, neppure una volta. La violenza casomai si può impadronire solo di una soggettività che non si accorge della sua stessa cova. Ecco perché le si deve prestare la massima attenzione. La posta in gioco è invece altissima rispetto all’indipendenza simbolica nei confronti del potere costituito, e dal potere stesso (p. 66). È ancora una volta sul terreno del simbolico infatti che si gioca la partita più importante: quella della nostra autenticità, quella di una soggettività che non chiede più dov’è perché sa che dispone di sé, con tutta la forza necessaria. Che soffia sulle ceneri di quel contratto andato in pezzi parecchio tempo fa. E attraverso quella forza si orienta nel mondo, ancora una volta, per la strada più lunga. Senza paura e soprattutto priva di odio.
(alessandra pigliaru)
*
ringrazio molto Doriana Righini per aver rilanciato il post sul suo blog
e lo IAPh (Associazione internazionale delle filosofe) che ha inserito queste brevi note nel suo sito insieme ad altre letture intorno a Dio è violent. Grazie di cuore!
grazie alle compagne di Femminismo a Sud che segnalano sulle loro pagine di twitter e facebook e linkano in un loro bel post. Colgo l’occasione per rimandare alla recensione di Lorenzo Gasparrini.
grazie di cuore alla Società Italiana delle Letterate che riporta le brevi note in Letterate Magazine n°6
e grazie mille alle amiche della Circola nel cinema Alice Guy per aver condiviso sulla loro pagina facebook
e alle amiche agli amici di Words Social Forum per il rilancio !
grazie alla mia amica Mariagrazia Di Bello per l’ospitalità nella sua pagina, curata con generosità e speciale desiderio: L’avventura della conoscenza: la stanza di Virginia Woolf e altri luoghi
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“” Ci vuole impegno per separarsi dalle pagine incandescenti di Dio è violent, il piccolo e prezioso pamphlet scritto da Luisa Muraro per le edizioni Nottetempo. […]
Se mi fate una traduzione di questa recensione in italiano la rilancio sul mio blog. Le donne di cultura media (come me) di questo post non ci hanno capito un ‘acca. Grazie.
Ciao Flavia, non è essenziale essere d’accordo con quanto ho scritto sai, è una semplice recensione su un testo che ha suscitato diverse opinioni come spesso accade; quella che si legge nel post è la mia. Puoi dunque risparmiarti questa facile ironia sul darmi del plurale e la cultura media, visti soprattutto i contenuti alti del tuo blog – tra l’altro. Nel caso volessi invece leggere Muraro puoi farlo quando e se lo desidererai ed eventualmente dicuterne direttamente con lei. Saluti.
Alessandra
Non posso essere d’accordo nè in disaccordo con quanto hai scritto perchè è incomprensibile. Poi se fai parte di un club esclusivo di donne filosofe che si parla addosso allora amen. Ma se ti aspetti che più gente diversa e, aggiungerei, normale, legga il libro oggetto della tua recensione bisogna che tu scriva in modo che quella gente ti capisca. Però non sei obbligata, ehi, c’è libertà di blog… a te e alle tue amiche i contenuti alti a me quelli medio-bassi. Risultato: circolazione del libro della Muraro 20 copie.
Flavia che vuoi che ti dica, hai una modalità che non mi consente di rispondere adeguatamente e non so davvero di cosa tu stia parlando, o meglio di cosa mi stia accusando. Mi hai già detto, per ben due volte, che scrivo in maniera incomprensibile e il concetto mi è arrivato forte e chiaro, ti assicuro. Detto ciò, a quanto pare non hai letto il libro e non credo tu desideri farlo…dunque di cosa vogliamo discutere esattamente e soprattutto politicamente? Mi pare di nulla perché continuerai a ripetermi che non hai capito la recensione (cosa che io continuo a non credere, visto il tuo blog, ma tant’è…) e che soprattutto dell’oggetto della recensione poco ti importa. Quindi che facciamo, ci avvitiamo ancora su questi detti e non detti oppure vogliamo uscire da questo limbo salutandoci? Ecco, io ti saluto.
trovo l’articolo impegnato et impegnativo.
mi ha colpito il modo perfetto con cui alessandra libera queste pagine a me ancora oscure, ma che sicuramente farò di tutto per averlo nella mia libreria, per la curiosità che ha impegnato la mente mentre leggevo la recensione. grazie.
Grazie a te cara Morfea per l’attenzione e la lettura, sarò felice di sapere quel che ne hai pensato quando lo leggerai 🙂
Un abbraccio*
Flavia:
Scrivere è un esercizio – un compito che si ripete delle volte senza risultato. L’arte della scrittura e della comunicazione è un dono. Alessandra ha la fortuna di possedere questo “dono” – e lo mette a disposizione di chi sa cogliere e accogliere il frutto della parola. Trovo veramente fastidioso l’atteggiamento di alcune persone- che possono assolutamente dire in tutta libertà – la loro opinione- ma francamente quando viene ripetuta per troppe volte- può infastidire- perché si può leggere dell’altro dietro queste parole. Il livore è una caratteristica troppo frequente- che non innalza gli animi che lo provano- né tantomeno quelli a cui viene indirizzato. Alessandra ha scritto un testo molto interessante- e la sua scrittura richiede un ascolto. Niente è più lontano da lei del “parlarsi addosso” . Queste ferite narcisistiche appartengono ad altra tipologia di persona- credimi- non fosse che la conosco da una vita e che vedo e posso ammirare giorno per giorno- il suo tentativo di “andare verso l’altro”.
Muraro 20 copie – Rosamunde Pilcher 8 milioni di libri venduti….. Questione di numeri ? in questo caso credo proprio di si……
Mi piacerebbe concludere con una frase di un film che io ho amato tanto “Qualcosa è cambiato”- una delle tante frasi ironiche e leggere- comprensibili sia alle amiche di questo blog- che alle donne medio-basse : “vada a vendere pazzia altrove- qui siamo già al completo”.
Carissima Giusy, ti sono grata di queste tue, sei stata cara e attenta. Mi conosci profondamente (e mi vuoi anche bene) ma questo non toglie che il mezzo spesso possa fuorviare i significati … figuriamoci la vita vera delle persone, ecco. Sono felice che tu abbia ripreso la discussione. Mi piace molto che tu metta l’accento sull’aspetto dell’ascolto perché io credo che ci sia una dinamica di impazienza di fondo nel non volersi ascoltare, di una fretta che spesso gioca al ribasso. Di una violenza spesso taciuta che decidiamo di infliggere linguisticamente prima di tutto alle nostre simili. E non ho ancora compreso pienamente il perché. Non mi riferisco a questo post né al dibattito ma in generale mi interrogo…e ti ringrazio di avermene dato l’opportunità, ancora una volta come fai anche in presenza ogni giorno. Ti abbraccio.
E’ vero, ho un modo di interloquire irritante, una vena polemica che parte da sola, e una dose di aggressività scatenata da quella proverbiale goccia che fa traboccare i vasi. Se ho ferito Alessandra non posso raccontare di non averlo voluto: in quel momento volevo farlo. Ora mi dispiace e mi scuso. Davvero.
Vi comunico qual è stata la goccia, non per giustificarmi ma per dirvi che secondo me l’interruzione delle vie di comunicazione fra donne è un problema: la lettura della recensione “difficile” del libro di un’autrice importante (e non è vero che non lo leggerò, io lo leggerò, ma è questo il punto: quante altre?) è arrivata dopo una giornata di notizie demoralizzanti del tipo “la 194 sotto attacco”, “uccisa l’ennesima donna”, “obiettori di coscienza in aumento”, “il comune destinerà l’edificio sequestrato alla mafia ai padri separati”, “in discussione la legge sull’affido condiviso che riconosce la Pas”, “statistiche su donne, maternità e lavoro”, “adolescenti vittime di pubblicità aggressiva” ecc. E ho provato rabbia e frustrazione al pensiero che qualcuno ha impiegato una bella dose di energia per scrivere una cosa che poche decine di donne (?) leggeranno, a fronte di un bisogno enorme di (ri)costruzione di un fronte di lotta (scusate ma è così) su questi temi. Cioè le avanguardie sono importanti ma c’è un momento nella storia in cui le avanguardie posano, o almeno alternano, la penna d’oca e si sporcano le mani con le donne normali.
In questo senso “parlarsi addosso”: che mentre lo scritto di Alessandra veleggia nel web letto da qualche intellettuale, ci sono donne che dopo una giornata a riempire scaffali alla Lidl non vedono l’ora di buttarsi sul divano a vedere la tv, e altre che sono appena scese dal tetto della fabbrica qua da noi senza più un posto di lavoro, e studentesse in crisi adolescenziale in cerca di risposte e sicurezze, ecc. ecc. Queste donne se si imbattessero in questo articolo cosa potrebbero pensare? che una risposta potrebbe essere nel libro della Muraro? Certo che no. Se un blog deve servire a qualcosa dovrebbe essere per convincere almeno un essere umano a riflettere sulla propria misera condizione (e magari a non sentirsi solo). Ma se per le donne “normali” questo blog è una lingua – e una terra – straniera è uno spreco di energia.
Per me, ovvio, per me.
Cmq ci tenevo a spiegare.
Ciao Flavia, anzitutto ti ringrazio di essere intervenuta in questa modalità schietta che aspettavo. Quelle donne di cui tu parli siamo già tutte noi; io e le altre commentatrici delle quali conosco le vite. Per non scendere nei particolari ma anche per amore di completezza. Immagino tu sappia che la precarietà e la disoccupazione non corrispondono ad un nostro preciso intendimento della vita e a una flessibilità che riteniamo fruttuosa. Detto ciò, ho sempre creduto di conciliare il dire col fare e che questo, per la politica delle donne, per la lotta delle donne, sia di fondamentale importanza. E di altra cruciale importanza penso sia il non sentirsi vittimizzate e inferiorizzate dalla bruttura di quello che ci circonda (è un retaggio patriarcale di cui ci siamo già sonoramente liberate). Così al pericolo, scongiurato per fortuna, di mettere le mani sulla 194 e tutte le altre cose che puntualmente elenchi, io credo che ci si debba confrontare con tutta la forza necessaria, come suggerisce Muraro qui. Questo, penserai, l’hai già detto e non mi cambia la vita. E invece io penso esattamente il contrario, giacché la mia pratica femminista che non si risolve in questo blog ma che ha una rispondenza pratica nella vita quotidiana, per fortuna, aveva bisogno di simbolico. E ha bisogno di simbolico tutt’ora. Le due cose non le posso vedere in alcun modo slegate, non so se mi spiego. Io mi arrabbio quanto te, mi rivolto e mi demoralizzo certo. E spesso pure. E la rabbia voglio metterla a frutto però, non voglio restarne sotto scacco. Non voglio che questa rabbia mi possieda e mi tenga in trappola. Sono piuttosto – anche – molto felice perché il femminismo è stato la mia festa, come ricorda Carla Lonzi (che non mi sembra abbia mai scritto best seller ma libri necessari questo sì), e non accetto di rinunciare a questa gioia dell’incontro. Non posso pensare alla divisione tra chi rivendica a oltranza (che commette un errore secondo me perché rischia di restare sotto scacco di quella stessa rivendicazione) e chi se ne sta seduta a casa a leggere (che certo non può restare perennemente seduta senza conoscere il mondo); questa divisione io la rigetto fermamente perché non esiste e credo sia assai dannosa. La scrittura è già politica in quanto corpo del desiderio. Almeno per me. Che sia filosofica, letteraria, poetica etc. Lo è già. Non potrei praticare la differenza se non tenessi conto dei desideri delle donne, né di tutte le vite nostre che sono diverse anche per queste di differenze. Non potrei praticare la differenza se non ascoltassi allo stesso modo quelle donne che scrivono che studiano che teorizzano e quelle che mettono a posto gli scaffali alla Lidl; Non ci sono donne medie e alte o basse; ci sono donne invece e già dicendolo al plurale commetto un’imprecisione fondamentale perché so di non poter parlare in nome di tutte; certo non le vedo come staccate da me, tutt’altro; certo è che sono credibile politicamente se parlo solo a partire da me, ecco; questo non significa che non esistano diverse pratiche. Il femminismo, il pensiero della differenza, il terreno del simbolico ma soprattutto quello “dell’indipendenza simbolica” è la partita cruciale che non si gioca nelle aule universitarie bensì in relazione con noi stesse e con altre donne, ogni giorno. E che crea spostamento politico. Non esistono risposte ultimative a quello che vediamo una volta per tutte, e io credo che Muraro stessa, per la quale certo non posso riferire in alcun modo, non abbia desiderato darne. Questo piccolo libro ha piuttosto una presa sulla realtà molto interessante e inedita, io ho dato conto solo di una parte – quella che ha risuonato in me più forte. Ne riconosco però bene lo spostamento politico, che è quello che mi interessa, e la grande attenzione soprattutto da parte di molte e molti a volerne ancora discutere e parlare. Ha innescato qualcosa e ha liberato anche (sempre secondo me) da una serie di divieti perniciosi e , a mio modesto parere, assai obsoleti. C’è un rischio evidente? Bene, io lo voglio correre. Non credo e non mi preoccupo dell’eventualità che lo leggano in 20 sai, prima di tutto perché sono sicura che venderà una marea di copie e poi perché, sai bene, la pratica femminista non si rivolge a dei parametri puramente quantitativi. C’è molta attenzione su Dio è violent da parte di donne e uomini invece, prova ne sia proprio questo post che ha avuto ad oggi circa 900 letture singole e dirette, in un blogghetto come questo che generalmente ne registra una media di 50 per ogni pubblicazione. Cosa sarà dunque questa curiosità? Penso che sia ascrivibile ad una veglia politica che va misurata e interrogata con cura, e sollecitata anche e sempre. Le parole di Muraro sollecitano eccome e puntano su un nodo che riguarda tutte e tutti. Comprendo benissimo il tuo senso di desolazione ma invece che avere il desiderio di ferirmi avresti potuto avere quello di dire chiaramente e da subito cosa ti aveva fatto problema, dire il conflitto; la ferita infatti non è arrivata, è sopraggiunto invece un senso di sconforto perché una donna impegnata politicamente che sostiene vivamente le lotte per i diritti delle donne, non ha intercettato il senso del mio desiderio che non era quello dello spot devozionale né quello di parlare a immaginari club filosofici (che tra l’altro non esistono e se esistessero non mi potrebbero riguardare): ho avuto un senso invece di entusiasmo e di condivisione, dopo una giornata di lavoro, per aver trovato nelle parole di Muraro una grande gioia, una specie di impulso a volerne sapere di più di questi artigli tagliati. Tanto per cominciare. Su quel sottrarre e affilare chirurgicamente che ancora una volta, per me, fa arretrare logiche mortifere alle quali spesso ci abituiamo. Perché vorrebbero addomesticarci al ribasso. Ecco, a mio avviso, la questione che a te fa problema (e cioè, come tu scrivi, che lo leggano solo due intellettuali) non si pone se cerchiamo anzitutto – noi per prime – di parlarci in autenticità cercando di non colpevolizzarci a vicenda. Accolgo il tuo dispiacere e le tue scuse le prendo sul serio e ti sono molto grata per l’opportunità che hai dato per un chiarimento. Non si deve essere sempre d’accordo, si deve invece sempre avere la spinta alla discussione critica.
Per inciso: Quando ho aperto questo blog non l’ho fatto per un senso di onnipotenza né per comunicare chissà che cosa di indispensabile e universalmente accettabile dall’umanità tutta. L’ho fatto invece a partire da me, semplicemente. Si tratta di un diario di appunti e riflessioni e non ho alcuna intenzione di direzionare le mie scelte secondo un criterio di utilità, continuerò piuttosto a prendere parola (scomoda discutibile o meno) sostanzialmente su quello che mi pare e piace o che mi corrisponde perché lo trovo, come in questo caso, politicamente e simbolicamente significativo.
A presto e grazie ancora.
Alessandra*
mah….. mi dispiace flavia, ma la tua spiegazione non mi convince per niente (e con ciò non intendo iniziare/proseguire polemiche, visto peraltro che sto pochissimo sul web in questo periodo). arrivo subito al punto e scrivo perchè non mi convince, anzi m’infastidisce .prima di tutto perchè sono una di quelle donne discretamente incasinate tra le “comunissime” e molto quotidiane faccende personali ma soprattutto per mia madre: che fa una vitaccia , lavora come una matta fuori casa, lavora come una matta dentro casa, si fa in quarantotto per madre anziana, figli e marito e mi ha minacciata più volte che farà al più presto un biglietto di sola andata per destinazione ignota (per la famiglia , me compresa ) .ha letto la recensione di alessandra ( mamma non riesce a trovare quasi mai il tempo per leggere, ho insistito io in questo caso) e grazie a questa recensione ha voluto trovare uno spazio di vita per leggere il libro di muraro ( “ne ho bisogno – ha detto – ho proprio bisogno di leggere quelle parole , finalmente! ) e le è piaciuto, anzi di più, aveva proprio necessità di leggerlo (per ricordare a se stessa CHE…e non ti spiego oltre, magari se lo leggi lo scopri).
un saluto a tutte!
Doriana, ma il mio punto era proprio che lo stile della recensione è così… elevato che c’è il rischio che allontani, più che avvicinare, al libro della Muraro.
Poi giustamente il blog è di Alessandra e ci scrive cosa e come vuole.
Alessandra, posso raccontarti una storia?
Un giorno siamo partite in 5, invitate a cena al Circolo della Rosa, quel club di buongustaie della Libreria delle Donne di Milano. 5 donne lavoratrici con vita e pesi sulle spalle, e rabbia e gioia e frustrazioni e amicizia, e impegno e lotta e delusioni. Una insegnante di inglese passata a insegnare italiano per stranieri, una insegnante di informatica, una bibliotecaria/attrice di teatro, un’operaia in cassa integrazione, una segretaria. Piene di figli da sistemare, mutui da pagare, rossi in banca da gestire, ex mariti da tenere alla larga, tumori da tenere a bada.
Siamo partite in macchina raccogliendo al volo la quinta appena scesa da un aereo, e poi via ad incontrare le mitiche donne della L.d.D., con tanta allegra aspettativa.
Durante la cena ci accorgiamo subito che veniamo da due mondi diversi (e non c’è niente di male, per carità). Non sempre riusciamo a seguire i discorsi che si intrecciano, anche perché siamo nuove, ci manca tutto il background… però quelle sono le donne che hanno indicato il percorso, sono le mitiche che hanno dato vita al movimento femminista a Milano e continuano a tenere accesa la fiamma!
Però, però… cominciamo a sentirci a disagio… Donna: “ tu di cosa ti occupi?” Amica n. 1 “faccio teatro, l’8 marzo abbiamo messo in scena uno spettacolo…” Donna: “ah noi non ci occupiamo di quello”. Donna: “e tu di cosa ti occupi?” Amica n. 2 “faccio la volontaria in un centralino d’ascolto per donne maltrattate” Donna: “ah noi non ci occupiamo di quello”. Cominciamo a guardarci di sottecchi. Donna “e tu…?” “tento di fare l’operaia, al momento sto sul tetto della fabbrica”. No, lo abbiamo capito: voi non vi occupate di quello.
Appunto.
Questa è la vita che c’è là fuori: le donne picchiate, quelle licenziate, le precarie e quelle sottopagate hanno bisogno di teoria, ma di una teoria che parta da loro e, dopo un bagno nelle sacre acque della filosofia, torni a loro. A noi.
Abbiamo bisogno che queste nostre sorelle intellettuali, oltre a fare accademia, elaborino anche protocolli di pratica accessibile a tutte (o forse prima hanno bisogno di un buon bagno di realtà)
La mia critica aveva sbagliato bersaglio (o meglio, ho inglobato il tuo blog nel bersaglio principale). Le intellettuali non possono limitarsi a produrre materiale elevato, che circolerà nei club esclusivi e non raggiungerà mai la… strada. Non possono, non devono, hanno la responsabilità della traduzione e di farci pervenire idee spendibili nel quotidiano. Ma lo sanno come siamo messe qua???
Ora io ringrazio gli dei che esiste – e resiste – la Libreria delle Donne, e che sia rimasto un nucleo di resistenti che studia la condizione femminile, ma ricordo che dalla serata siamo uscite un po’ stranite, con la spiacevole sensazione che al Circolo della Rosa non saprebbero riconoscere la condizione femminile neanche se le centrasse in mezzo alla fronte.
devo leggerti, leggervi con molta calma. credo che una ‘nota’ come la tua su un libro di tale importanza meriti tanto di più, che una lettura distratta come la mia. grazie, Ale.
Ascolto, quando posso Fahreneit la trasmissione radiofonica in onda tutti i giorni su radio tre. L’intervista all’autrice del testo in discussione è stata tra le più belle che mi sia capitato di intercettare. La precisione analitica con la quale si mettono in luce le dinamiche poste in atto da chi detiene il potere per tenere sotto scacco la “massa” mi ha fatto venir voglia di intensificare il mio sforzo in direzione della desistenza. L’autrice, nel corso della trasmissione che vi invito ad ascoltare scaricando magari il relativo podcast, illustra la necessità di sottrarsi al gioco sottile e per questo ancor più violento e perverso, attraverso cui intere generazioni vengono ricattate ed usate a totale vantaggio della macchina del profitto. Una macchina che ne asserve tanti a totle vantaggio di pochi. Racconta la sua personale esperienza nel mondo universitario ed i meccanismi clientelari che impediscono al pensiero di evolvere in maniera libera e gratuita, senza condizionamenti o calcoli di opportunità. C’è stato un passaggio in cui l’ho percepita particolarmente vicina alle ragioni di chi in questi anni come me si è sentito violentato e deriso da quella maggioranza che ossequiosa e disciplinata segue i mantra ripetuti dai media e da quanti si affannano a costruire la realtà delle verità uniche ed immodificabili. La descrizione millimetrica di quelle violenze perpetuate in nome di un progresso che nessuno sente come proprio, del male minore se on necessario, del bene comune sebbene nessuno di noi sia mai stato convocato o consultato in merito. Le aggressioni di chi forte del finto consenso di cui si circonda, impone la propria volontà e la propria visione del mondo. Vedete io non credo si tratti di violenze cui possiamo attribuire un genere (maschile o femminile) ma forse non è un caso che sia stata proprio una donna a definire il perimetro di questo fenomeno così pregnante eppure così ripetutamente negato e nascosto alla pubblica opinione. Sono ammirato dalla passione e dalla sensibilità che ho trovato consultando questo blog e ringrazio per questo Alessandra e tutte quante partecipano ed arricchiscono i temi trattati nello stesso, per la pazienza con la quale avete ospitato la mia testimonianza in favore di questo bellissimo saggio.
spero che anche tu intervenga visto il dibattito aperto da Anna Maria Farabbi di cui lascio il link di riferiomento.Ho salvato e fatto riferimento a questa analisi in cartesensibili. A presto e grazie di tenere alta la guardia.f.f.
http://cartesensibili.wordpress.com/2012/09/15/la-vasca-dei-pesci-rossi-anna-maria-farabbi-a-tu-per-tu-con-dio-e-violentdi-luisa-muraro/
grazie cara Ferni, interverrò quanto prima. Intanto un abbraccio
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Per le amiche che più mi stanno a cuore….